martedì 1 marzo 2016

CIAO MARIO

il GRUPPO ERMADA FLAVIO VIDONIS PIANGE 

MARIO GHERBAZ 

ALPINO, GROTTISTA, PADRE, AMICO,

 UN ABBRACCIO ALLA FAMIGLIA,

 RIMARRA' SEMPRE VIVO IL SUO RICORDO 

LA SUA ALLEGRIA L'AMORE PER LA NATURA

Mario Gherbaz (14.8.1943 – 29.2.2016)

Mario Gherbaz inizia la sua attività speleologica nel 1956, giovanissimo: a tredici anni fonda, assieme ad un gruppo di coetanei, il Gruppo Grotte Timavo, struttura che con una sessantina di metri di scale e tre volte tanto di corde si dedica alla visita di tutte le più belle grotte del Carso triestino. Nel 1958 si avvicina alla Commissione Grotte “Eugenio Boegan”: nel 1959 è socio della Società Alpina delle Giulie, la sezione di Trieste del CAI di cui la Commissione fa parte, l’anno seguente, ormai diciassettenne, diviene membro della stessa.
Con la ‘Boegan’ inizia a svolgere un’attività di tutto rispetto: fra il 1958 e il 1960 è presente alle spedizioni all’abisso Polidori, nel 1960 è alla Preta ove, assieme a Lorenzo Cargnel, riesce a superare i passaggi che avevano fermato tutte le precedenti spedizioni e ad aprire così la via verso l’attuale fondo. Dal 1961 in poi fa parte delle squadre di punta nelle esplorazioni delle grotte dei monti Alburni. Nel 1962, al termine di una di queste, assieme ai consoci Peppe Baldo e Tullio Piemontese, scende in Calabria per aggregarsi ad una spedizione dei piemontesi impegnati nell’esplorazione dell’abisso del Bifurto. Al rientro a Trieste realizza un nuovo modello di scalette superleggere i cui schemi di produzione presenterà l’anno seguente al IX Congresso Nazionale di Speleologia. La sua attività esplorativa lo porta sino a Sciacca e Santo Domingo.

Allorquando alcuni soci della Boegan ‘riscoprono’ il Canin Mario Gherbaz diventa un assiduo frequentatore degli abissi di questo massiccio carsico, dedicandosi alle esplorazioni all’ab. Boegan (-624), al Davanzo (scopre la nuova via che bypassa l’ostico meandro dei 400 metri) ma soprattutto al Gortani che rileva accuratamente per i primi nove chilometri e di cui è rimasta nella storia l’esplorazione del novembre 1967, condotta con A. Casale, in cui viene raggiunto un primo fondo a -675.
Presente a tutte le esplorazioni effettuate sul Carso dal gruppo di giovani di cui è diventato l’indiscusso leader, è protagonista degli scavi all’abisso Colognatti, alla grotta della Fornace, alla Grotta Gigante (ove esegue ardite arrampicate alla ricerca di nuovi vani). E’ istruttore a tutti i corsi sezionali di speleologia e nel 1969 supera l’esame di Istruttore Nazionale di Speleologia del CAI, titolo che manterrà sino al passaggio ad Istruttore Emerito. Quando nel 1966 viene costituito il Soccorso Speleologico Mario Gherbaz è uno dei primi ad essere convocato a farne parte; nel 1970 alla morte di Marino Vianello, responsabile del VI Gruppo, è chiamato a prenderne il posto, incarico che manterrà sino al 1980.
Molto interessato ai problemi tecnici legati alle esplorazioni negli anni ’60-’70 contribuisce all’ammodernamento del parco attrezzi della ‘Boegan’ e quindi realizza nuovi strumenti atti a rendere più veloce e sicure le discese in grotta: le scalette superleggere, sacchi speleo per il trasporto del materiale, la tuta Gortani ma soprattutto l’Universore, attrezzo che svolge le funzioni sia del discensore che del bloccante per la risalita. Della quarantina di pubblicazioni che lascia la maggior parte riguarda proprio la tecnica e la sicurezza in grotta.
A differenza di molti bravi esploratori è stato anche un ottimo organizzatore: dopo aver collaborato alla preparazione del primo Convegno Nazionale della sezione Speleologica del CNSA (Trieste, 1969) a lui si devono il secondo ed il terzo (Trieste 1971 e Trento 1973) e il settimo Congresso Internazionale del Soccorso Speleologico (Cividale – Trieste, 1987) e il XXI Convegno Nazionale di Speleologia (Trieste, 2011).
Pino Guidi

Avanti

Da grotista, Marieto è andato avanti. Ieri pomeriggio arriva un messaggio, breve e temuto, Mario non c’è più.
La notizia si espande a macchia d’olio attraverso i moderni mezzi di comunicazione speleo, perché Marieto, che per i diversamente triestini è Mario Gherbaz, è stato uno dei più grandi grottisti di ogni tempo e del mondo.
Grotista, non speleologo. Ci tengo a precisarlo, perché così si dice. Ricordo un giorno in cui lo incontrai in presenza di alcuni speleo italiani e chiacchierando, mentre questi continuavano a parlare di speleologi, speleologi, speleologi, io li corressi dicendo “siamo grottisti, mica speleologi”. Marieto sorrise con gli occhi brillanti dietro gli occhiali. Ciò che per gli speleo italiani suona come un’offesa, è orgoglio per il grotista triestino. E lui aveva molti buoni motivi per essere orgoglioso di quanto aveva fatto in grotta.
Non “conoscevo” Marieto, non posso dirlo. Fa parte del mio immaginario da quando sono nato. Mio padre ogni tanto cambiava codice nei racconti, iniziava a parlare triestin (ala vecia maniera) e allora saltava fuori sto famoso Marieto, che per me bambino era uno dei personaggi delle favole. Perché di favole da piccolo ne ho ascoltate poche, se non nessuna, ma storie molte.
Diventato a mia volta grottista iniziai a leggere qualche libro e capii che sto Marieto era veramente una persona importante nel mondo speleo. Se posso fare un paragone con il mondo alpinistico, l’ho sempre messo al livello di Walter Bonatti. Condividevano la capacità di fare cose incredibili per i tempi e i mezzi con cui le facevano. Solo che Marieto jera grotista, e i grottisti sui giornali ci finiscono solo per gli incidenti. Salvo che a Trieste, ovviamente, dove ogni famiglia almeno un grotista ce l’ha.
Lo incontrai “materialmente” la prima volta nel 1990. Mi colpì per la vivacità che racchiudeva in un corpo realtivamente piccolo (di fronte a me di certo) e muscoloso. Una vivacità molto triestina, quella che distingueva e distingue i grottisti di quella città da noi furlani. Era divertente assistere agli incontri fra Marieto e mio padre Renzo. Quest’ultimo di otto anni più vecchio, conservatore in grotta, tanto quanto Marieto era stato innovatore. C’era rispetto reciproco. Orgoglio nella diversità di vedute, dalla politica alla vita di ogni giorno, ma soprattutto nell’andare in grotta. Opposti. Ma capitava di trovarli seduti da qualche parte a ciacolare, per poi dire uno el xe sempre fora sto mato e l’altro ancora con le scalete vignissi.
A ogni incontro Marieto mi raccontava, ridendo di gusto dall’inizio alla fine, di quando mio padre si presentò a un’esercitazione del CNSAS con elmetto militare della II Guerra Mondiale, cinturone da pompiere al posto dell’imbrago, carbura Stella con beccuccio sulla bombola appesa alla cintura con un gancio. All’epoca a Trieste la fiammella era già passata sul caschetto da un pezzo, l’imbrago si usava regolarmente e quasi tutti avevano abbandonato le scalette per la sola corda.
Dall’altro lato, mio padre raccontava episodi di “numeri da funambolo” di Marieto, in condizioni di sicurezza non precaria ma nulla, da cui quello usciva regolarmente indenne grazie alle non comuni capacità. Penso che chiunque l’abbia incontrato in grotta possa raccontare aneddoti simili. Proprio ironica la vita, a portarselo via è stato uno stupidissimo incidente in motorino, in città. Roba da matti.
Quando mi è arrivata la notizia della sua morte, oltre a pensare al dolore dei familiari, ho pensato subito al fatto che abbiamo perso la possibilità di ascoltare ancora le storie incredibili di questo grottista incredibile. Ora è andato avanti, a esplorare chissà cosa, superando difficoltà apparentemente impossibili da superare, e fra noi è entrato nel mito, decisamente più fortunato di Achille, ma credo altrettanto immortale finché esisterà qualcuno che ama esplorare le grotte.

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